Si è conclusa a Roma la Conferenza nazionale sulla famiglia. Desaparecida sui principali media; più sotto la lente per le polemiche sull’esclusione delle famiglie arcobaleno; richiamata dopo l’apprezzato intervento del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni sulle misure anti-povertà. L’associazionismo familiare è guardingo e deluso: bene le affermazioni di principio, ma i fatti quali saranno?
Annoto due elementi, temo molto realistici. Primo pensiero. Dal dopoguerra a oggi si è fatto poco o nulla in maniera sistematica per la famiglia, se non interventi spot, mentre servirebbero misure innovative e di sistema, dal punto di vista fiscale e di sostegno economico. Con il trend della denatalità in corso, dove pensiamo di arrivare se teniamo la famiglia fuori dai radar? Come riteniamo di sostenere la crescita dell’Italia? Certo, va contrastata la povertà, ci mancherebbe ancora, ma non si tratta soltanto di questo. E allora? Storica responsabilità democristiana, sicuramente, ma anche miopia grave di tutti i decisori pubblici, nessuno escluso, comprese le più recenti sigle.
Secondo pensiero. Mi chiedo come il Pd – che vuole ricandidarsi alla guida del Paese – possa pensare di mantenere certe promesse (le ha inanellate il segretario Matteo Renzi) se al suo interno ha posizioni così antitetiche sul tema. Penso, per esempio, a ciò che esprime il senatore Sergio Lo Giudice, ribadito pochi giorni fa nel blog che cura sull’Huffington Post: «L’inutile conferenza sulla famiglia». Idee rispettabilissime, beninteso, su cui si può essere o meno d’accordo, ma che credo non abbiamo nulla a che fare con quelle di un altro senatore del Pd, il piemontese Stefano Lepri, che tanto si è impegnato per un Ddl che inizi a dare una parvenza di sistema agli interventi nei confronti della famiglia (ne avevo scritto in giugno, ritrovate il post cliccando qui). È inutile, nel nostro Belpaese dell’incontrario, scattano subito le dighe ideologiche: «sostenere la famiglia è da cattolici»; «parlare di “famiglie” significa dare corda alle lobbies Lgbt». Balle. Purtroppo grandi balle.
L’avrò scritto mille volte. Andiamo a fare un giro nella laicissima Francia e capiremo che il sostegno alla famiglia non significa elargire favori a questo o a quel pensiero, ma semplicemente fare del bene al futuro di una nazione. Possibile che proprio non ci arriviamo? In più siamo in campagna elettorale permanente… Ed è un guaio enorme. Un vero peccato.
Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari, non nasconde il disappunto: «La cosa strana che emerge è una sola: siamo tutti d’accordo – spiega -. Tutti ritengono la famiglia una risorsa insostituibile per il Paese, tutti sono convinti che il problema del crollo della natalità non sia più procrastinabile, tutti sono convinti che vada trovata una riforma fiscale che metta al centro le famiglie. Anche il governo, a parole, lo ha più volte ripetuto in questi giorni. Siamo profondamente rattristati dal fatto che c’è sempre qualcosa che viene prima della famiglia. I soldi si trovano sempre per salvare le banche, così come si sono trovati 10 miliardi per il bonus degli 80 euro elargito a prescindere dai carichi familiari, ma non si riesce mai a trovare le risorse per permettere agli italiani di vivere e non sopravvivere se mettono al mondo un figlio. Come possiamo credere a chi ci promette riforme strutturali nella prossima legislatura se non è in grado di dare un segnale già nella prossima legge di stabilità?».
Condivido perfettamente. Faccio girare il link a questo suo articolo. Buona serata.
Temo che la sinistra sia inchiodata dai suoi schematismi ideologici contrapposti. Non è piu in grado di proporre alcun che.
Temo che sul fronte specifico della famiglia la questione travalichi la sinistra, anche se è un problema fortissimo nel Pd, che non può pensare di andare #avanti senza risolverlo. Occorre uno sforzo – penso in particolare ai mesi che ci aspettano da qui al voto – per uscire dalle secche ideologiche. C’è da augurarsi che non prevalga il masochismo autodistruttivo…
Mancano decisori politici e attori culturali capaci di affrontare il tema delle politiche familiari in maniera equilibrata e pragmatica, al di là delle sterili dighe ideologiche. Soprattutto in questo campo la polarizzazione ha portato alla “paralizzazione”. Ma mancano anche giornalisti e “opinionisti” cha sappiano lucidamente descrivere la situazione. Lei, invece, dimostra di saperlo fare. Complimenti e grazie.
Il quoziente familiare è fortemente iniquo perche avvantaggia famiglie ricche che fanno più figli anzi il quoziente familiare affossa il paese perche affossa le fasce disagiate.Le vere riforme sulla famiglia le possono fare solo le componenti welfare liberalism: in breve bisogna stare con i piedi per terra. La prima cosa è che il bonus bebè è una cosa positiva, una misura di sinistra che vale fino ad una fascia di reddito fra i 25 e 30 mila euro, ma questa da sola non è sufficente perche servono misure complementari come un minimo vitale associato ad agevolazioni come affitto, utenze, bimbi che studiano, una family card, degli asili nido, la conciliazione lavoro famiglia con il part time, gli assegni familiari ma centrale è contrastare la precarietà del lavoro. Il welfare è prevalentemente una cosa di sinistra.
Non me ne voglia, ma sa che quello che dice non è vero? Intanto, il quoziente familiare: non è iniquo; provi a vedere in Francia, dove lo utilizzano da dopo l’ultima guerra. Certo, possono esserci formulazione diverse e magari opportunamente accompagnate al sostegno delle fasce disagiate, ma sostenere che avvantaggia le famiglie ricche non è vero. C’è un enorme problema, piuttosto, di sostegno alla middle class, che invece è fondamentale anche per recuperare sul fronte demografico. E non è vero neppure che il welfare sia solo di sinistra: tant’è che negli Usa, per esempio, si è sviluppato il welfare capitalism… Il punto è che bisognerebbe lavorare, tutti, per una sussidiarietà circolare: business community, enti pubblici e territoriali, società civile. Stare con i piedi per terra, a mio avviso, significa mettere in rete questi tre soggetti. Solo così si può aiutare il Paese, con le sue famiglie, a crescere.
Noi non siamo la Francia e di riforme fatte con i piedi ne abbiamo viste già abbastanza. Per middle class che cosa si intende? È compresa in fascia che và al massimo fino a 30.000 euro? Perché il welfare non è universalistico: chi può farcela con le proprie gambe deve farcela con le proprie gambe. Lo stesso discorso per la sanità chi supera gli 80 mila euro può farsi l’asscurazione con cui poter usufruire sia della sanità pubblica che di quella privata. Ma poi è mai possibile pensare ad un welfare con la flat tax che dove la tassazione progressiva è invece l’architrave della liberal democrazia?
D’accordo, non siamo la Francia. Il Welfare State, così come si è diffuso dall’Inghilterra dal dopoguerra, si occupa di tutti, anzi, come diceva Lord Beveridge, del cittadino «dalla culla alla bara» con il principio della redistribuzione. Ho tuttavia l’impressione che potremmo andare avanti a lungo nel ragionare, ma con il “voto di scambio” ancora fortemente in auge in Italia non si va da nessuna parte. Proprio oggi ho postato un ragionamento sulla economia civile e sul “welfare circolare” che magari offre un contributo in più alla nostra discussione: http://francescoantonioli.blog.ilsole24ore.com/2017/11/06/il-laboratorio-delleconomia-civile-per-un-welfare-circolare/
Ecco, esatto: con il voto di scambio non si va da nessuna parte si perdono solo le coordinate. Per il ceto medio la fascia arriva a 30.000 mila euro e il bonus bebè ed altre prestazioni vanno fino a questa fascia di reddito. Dobbiamo metterci poi che serve l’edilizia pubblica molto corposa perché tutte queste leggi sulla proroga degli sfratti le cedolari non servono a niente invece se l’edilizia sociale fosse corposa alla scadenza naturale del contratto di locazione si può restituire l’alloggio al legittimo proprietario perché si può usufruire di un’alloggio pubblico cioè le eccedenze di alloggi servono anche alle emergenze e i prezzi dei canoni di locazione sarebbero calmierati perché si metterebbero in concorrenza con quelli privati.I canoni di locazione assorbono troppo sul reddito se hai un reddito di 1300 euro con un alloggio pubblico ne paghi si e no 200 e questi vanno ad alimentare l’acquisto e la costruzione di nuovi alloggi in aree edificabili attraverso la Gescal, l’Ina casa. In merito alla flat tax si può solo dire che pesa sul lavoro dipendente ed essendo una tassa piatta porta a fusioni e monopoli,i piccoli vengono solo assorbiti demolendo la capillarità e la diffusione della ricchezza,le piccole e medie aziende scomparirebbero e con la flat tax non ci sarebbe welfare.
Dimenticavo la tassazione: la tassazione deve essere progressiva, ma fisiologica cioè comunque accettabile e contenuta; il cuneo fiscale per il lavoro anche non deve superare il 30%. Quello che bisogna contrastare è la burocrazia: servono pochi adempimenti burocratici. Per la flessibilità i contratti a termine devono costare di più e una sporadicità di divieto di licenziare ci deve essere almeno per i disciplinari max tre infrazioni in un’anno per il principio di proporzionalità e la prova di un’anno. In merito alla flessibilità lo spirito è quello della Biagi: il lavoro accessorio va riservato solo a determinate categorie che sono casalinghe disabili ecc. Il lavoro intermittente è positivo se vengono colmate tutte le lacune come indennità e contributi figurativi durante i periodi di buco a patto che sia a tempo indeterminato; il part time non può essere una coercizione, ma una libera scelta e in questo vanno favorite le ragazze madri.