Familyday: Chiesa, cittadini e politica fuori dal coro che urla
31 Gennaio 2016
Quello che penso sul grande urlare di questi giorni sulla famiglia? Lo ha espresso al meglio un sacerdote, teologo, del Cottolengo. Si chiama Paolo Scquizzato e ha postato il suo ragionamento su Facebook. Gli lascio spazio perché condivido i suoi sentimenti. Da pessimo cattolico quale sono. Ma soprattutto da cittadino.
«In questi giorni in Italia non si fa che parlare di ‘diritti civili sì, diritti civili no’, Family Day, stepchild adoption, ecc…
La Chiesa a riguardo sta assumendo una posizione ideologica impressionante. Uno degli slogan risuonati ieri al Circo Massimo a Roma è stato: “A noi la battaglia, a Dio la gloria”, roba da Prima Crociata, dove una frase del genere non sarebbe stata fuori luogo sulla bocca di Goffredo di Buglione, capofila dell’esercito cristiano, che pur di riconquistare Gerusalemme e il Santo Sepolcro – a quel tempo “valori non negoziabili’ – non ritenne disprezzabile passare a fil di spada cinquantamila uomini tra ebrei e musulmani: l’importante in fondo era affermare la ‘Gloria di Dio’!Mi vergogno di far parte di questa Chiesa in certi momenti…
Non mi ci riconosco, perché anti evangelica, perché infinitamente lontana da quel Gesù che non ha mai cercato lo scontro, non ha mai invitato a lottare per imporre le proprie idee, non ha mai imposto il bene, semplicemente perché il bene imposto s’incancrenisce sempre in una forma subdola di dittatura, perché come in tutte le ideologie, alla fine, diventa più importante l’idea che l’uomo in carne ed ossa. Oggi la famiglia, così com’è intesa da molti di questi cattolici ‘duri e puri’, destrorsi e reazionari, è solo “un’idea” di famiglia, che pur di vederla affermata e riconosciuta son disposti a sacrificare l’uomo concreto, di calpestarne i diritti e la sua libertà.
L’unica “Gloria di Dio”, affermata nel Vangelo, è l’uomo, e questo realizzato, felice, libero di compiere quelle scelte che in coscienza crede possano condurlo al compimento del proprio cuore e quindi del proprio essere persona.
L’uomo del nostro tempo – diceva il grande Bonhoeffer – è ormai diventato adulto. Non necessita di prediche, ammonimenti, ammaestramenti, su come vivere e su cosa scegliere, lo sa benissimo; ma di essere amato sì, perché di questo anche gli adulti non cessano di averne bisogno.
Sogno una Chiesa che dismetta i panni di “maestra”, e indossi quelli di viandante, compagna di viaggio di tutte le donne e gli uomini che fanno fatica a vivere; che si curvi sulle loro ferite, li faccia sentire semplicemente preziosi, amati appunto, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale o il credo professato, che ridoni loro una vera libertà. Sogno una Chiesa che inviti i cristiani a riempire le piazze per dire no a un razzismo dilagante, ad un’economia che uccide, ad una politica guerrafondaia e che rimetta al centro i più poveri.
Sogno una Chiesa che ritorni al Vangelo e smetta di far politica».
Don Paolo Scquizzato