Ascoltiamo i figli: tra i Pinguini Tattici Nucleari e il Padre nostro dei satelliti
15 Aprile 2017
Ascoltare i figli: una priorità, una impresa (spesso). Ma va fatto. Per loro, per crescere noi, che non siamo mai arrivati anche quando ci prende la tentazione di dirlo. Mi capita sovente di sentirmi un po’ scemo a tavola, in famiglia: tre figlie, un figlio che ora lavora e vive per conto suo (ci manca, ma meglio non fare Tanguy), parlano troppo veloce, comincio a non sentire bene, sono stanco e capita che i pensieri vaghino e perda le fila del discorso. Mi rimproverano, capisco, anche se mi sento amato, non solo sopportato.
Ci sono non mondi, ma universi che non conosciamo. Per esempio: i Pinguini Tattici Nucleari, una band apprezzatissima (nella foto a sinistra) dalla mia numero tre, agguerrita studentessa di giurisprudenza. Hanno pubblicato da qualche giorno il loro terzo album, Gioventù brucata. Spiegano queste creature: «È la gioventù ferma in un prato che non sa cos’altro fare se non brucare l’erba. Come dice la canzone che dà il titolo all’album, i nostri nonni si identificavano nella cosiddetta gioventù bruciata, quella dei ribelli senza un motivo. I nostri padri invece in quella bucata, quella delle droghe pesanti e delle morti per overdose. Mentre noi non sappiamo fare altro che brucare nell’attesa di essere definiti».
Che cosa stiamo preparando per il loro futuro? Ok, d’accordo, mia cara, proverò ad ascoltarli, a capirli. Poi scivolo. Perché Ludovica si entusiasma, mi chiede se conosco il Padre Nostro di Vasco. Rossi? «Nooo, Brondi, papiii, Brondi». Ebbene sì, esiste un Vasco Brondi, confesso, non ne ero al corrente. Ho bucato la notizia (anche se spesso va sulle copertine, come da immagine a sinistra). Sentendo dire Padre Nostro dei satelliti, una canzone niente male di questo giovane signore, ascoltatela, in realtà mi viene subito in mente Ernest Hemingway con quel suo racconto “Un posto pulito, illuminato bene” (A Clean, Well-‐Lighted Place, pubblicato nel 1933, anche se messo a punto per una rivista già nel 1926). Lì si trova una terribile e lacerante parafrasi del Padre Nostro. La pronuncia il cameriere di un bar; più anziano dell’altro collega, gli confida: «Non ho mai avuto fiducia e ormai non sono giovane…. Sono di quelli che amano rimanersene fino a tardi al bar…. in compagnia di quelli che non hanno alcuna voglia di tornarsene a casa… in compagnia di quelli che hanno bisogno di luce per la loro notte». E riordinando il bancone mormora: Niente nostro che sei nel niente/ Niente sia il tuo nome/ Niente sia il tuo Regno/ Niente la tua volontà/ Così nel niente come in niente/ Dacci oggi il nostro niente quotidiano/ E non darci niente/ Come noi non diamo niente a nessuno/ E non ci indurre nel niente del niente/ ma liberaci dal niente. Tutto ritmato sul “Nada” che in spagnolo vuol dire Nulla, non però quello dei grandi mistici spagnoli (ne ha parlato il cardinale Ravasi sul Domenicale de Il Sole 24 Ore, qualche anno fa).
Vasco Brondi canta: «Padre nostro dei satelliti e di tutti i dibattiti, non c’è niente che mi interessi di meno dell’opinione degli altri. Santa Maria dei telegiornali in streaming, dei fiumi sacri di informazione, hai visto, gli infelici possono essere pericolosi. Nostra signora dei naufragi e dei momenti irripetibili e degli schermi accesi che colorano di azzurro gli interni degli appartamenti. Sia fatta la tua volontà, così in cielo come di sera nei bar del centro. E prega per la fine della mia gioventù, forse resterà per l’eternità su youtube. E Dio onnipotente, dammi un lavoro qualunque e una linea della vita bella e illeggibile».
Mi ripeto: che cosa stiamo preparando per il loro futuro? Insomma, in questa notte di veglia pasquale mi sono visto genitore pieno di limiti e ho pensato alla barra dritta da tenere con onestà (i “no” ci vogliono, perbacco, perché non si comprano l’affetto e l’autorevolezza cedendo su tutto, anche se con chi è maggiorenne serve un dialogo adulto). Ma ascoltiamoli questi figli. E ascoltiamo di più quel che accade nella vita reale. Penso al mio mestiere di giornalista: morto, inesistente, spazzato via se continuiamo così, soltanto ancorati alla carta, alla muffa esistenziale autoreferenziale, senza essere sul serio cittadini (e genitori) del villaggio globale. Forse anche Marshall McLuhan s’incazzerebbe a vederci così. Esagero? Non credo. È una componente troppo importante del quoziente familiare.