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Coronavirus, rabbia ed educazione civica

14 Marzo 2020

Ho fatto due passi in solitudine e messo in ordine qualche pensiero. Questa cappa di angoscia per l’emergenza sanitaria da Coronavirus, prima o poi, finirà. Lascerà danni pesanti, e sui modelli di economia bisognerà ragionare non poco. Ma soprattutto imporrà una riflessione sulla pressoché totale assenza di educazione civica e di relazioni adulte tra le persone. Schiumare rabbia e odio a prescindere – oltre che rivelare irrisolte fragilità – ci rende creature disgustose. Debbo iniziare io per primo, al volante, situazione in cui spesso perdo la trebisonda con il prossimo e penso che mi eserciterò. Non rispettare regole e disposizioni che riguardano la salute di tutti, è indice di inciviltà.

Coronavirus, rabbia ed educazione civica

Il Covid-19 è soltanto un amplificatore, uno zoom impietoso su come siamo. Buttiamo la carta per strada, non raccogliamo le cacche del cane, ci trasfiguriamo alle assemblee di condominio, rigurgitiamo livore sui social, facciamo a pugni per un posteggio o in fila all’anagrafe. Dunque, inutile stupirsi che ci si comporti da cafoni senza testa sul collo all’epoca del Coronavirus. Un barista, pochi giorni fa, quando per i caffè era ancora possibile restare aperti, mi ha raccontato di essere stato preso a male parole da alcuni avventori (genitori con figli per l’esattezza) perché con molta educazione si era permesso di chiedere di stare in tavoli distanziati.

Insomma, è la solita storia di padri e madri che sbavano acredine alle partite di calcio dei figli, che incitano a essere furbi, a superare sulla destra gli altri, a mostrare i muscoli perché la vita è una lotta, a sfidare il prof che ha rimbrottato il figlio gran maleducato o asino in matematica. Inutile dire che poi la classe dirigente e politica (che ci meritiamo) è espressione di questa desolazione.

Coronavirus, c’è una Italia bella

Poi, lo sappiamo, esiste una Italia migliore e straordinaria. Quella dei medici e del personale sanitario generoso e in prima linea. Quella degli imprenditori illuminati e generosi, che sanno mettere mano al portafoglio – come tanti cittadini comuni – per sostenere progetti di solidarietà. Quella di chi si dà una mano. Quella del comandante Gennaro Arma della Diamond Princess (profilo opposto a Francesco Schettino della Costa Concordia, ricordate?). Insomma, una moltitudine silenziosa, che non sputa sul nostro claudicante Belpaese, e che – a ragione – fa dire ad Andrea Illy che si può pensare seriamente a una Italia Felix.

Coronavirus, ma la Chiesa dov’è?

Un amico caro, assolutamente laico di formazione, ateo (forse) – che spesso mi stuzzica con ragionamenti mai banali – trova assente, in questo momento, la leadership della Chiesa, come se afona, immobile, non propositiva. Io non so orizzontarmi bene, sono turbato (posto che sia il verbo giusto, ma è ciò che si avvicina di più al mio sentiment).

Trovo avvilenti le discussioni su chiese aperte o chiese chiuse, sui monsignori che si accusano tra loro magari attaccando Papa Francesco.

Provo repulsione nei confronti dei cattivi maestri parassiti della devozione popolare, come l’insopportabile padre Livio Fanzaga che dirige Radio Maria. Ascoltarlo – l’ho fatto – mi provoca rabbia e desiderio di urlare. Oltre tutto: Dio non ci sta punendo, semmai alcuni grossi guai derivano da come abbiamo gestito noi umani la natura.

Certo, non tutti i mali – Coronavirus compreso – vengono per nuocere.

Istruttivo, ogni tanto, provare fifa e cambiare abitudini. Dopo, però, a valle di tutto questo bailamme, non ricominciamo come prima, più di prima. Investiamo in formazione, in educazione civica, in scuole per genitori, in corsi per single, in master per civil servant nelle istituzioni. In training per gestire le relazioni e i conflitti. Insomma, per essere cittadini del villaggio globale a partire dalle mura di casa.