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Il Papa e la Milano da bere che invece ha sete #Francescoenoi

25 Marzo 2017

Poche ore e il Papa sarà a Milano. Ho visto questa sera Porta Garibaldi e la stazione Centrale più presidiate, ho ascoltato gli annunci di sicurezza in metropolitana per quanto accadrà nelle prossime ore, ho letto i comunicati della diocesi ambrosiana, la più grande del mondo. Mi è venuto in mente Marco Mignani, il pubblicitario – ora scomparso – che nel 1987 s’inventò lo slogan «Milano da bere» per l’amaro Ramazzotti. Era la città socialista non ancora finita nelle maglie di Mani Pulite, che declinava in chiave meneghina l’edonismo reaganiano di quegli anni.

Adesso c’è un mondo diverso. Non ci sono più Craxi, Andreotti e Forlani (il Caf), ma montano il populismo trumpiano e la retorica pentastellata. C’è stato l’Expo, Milano vuole riscattarsi e ha le carte, anche se scivola sempre nella supponenza. A dire il vero c’è un deserto preoccupante di autorevolezza e Jorge Bergoglio sembra l’unico punto di riferimento rimasto per molti: è semplice, ha senso civico, è ciò che appare, non giudica, denuncia le contraddizioni di un mondo egoista e indifferente. Lo aspetta una Milano che ha sete, come tutto il nostro Paese (e non solo): perché non esiste – o è ridotta al lumicino – la classe dirigente (come in Europa, e non solo), perché siamo molto corrotti e rovinati dentro, nonostante ci sia una Italia bella e sana che silenziosamente lavora, è solidale, ha voglia di futuro ed è in grado di esprimere valori importanti come ha fatto l’altro giorno l’attore Flavio Insinna a “Cartabianca”. Ma è un’Italia che non potrà più essere quella degli yuppies. Francesco lo ricorda costantemente. Lo stile di vita, dopo la lunga crisi, va cambiato, sennò andremo a sbattere.

Qualcosa va modificato anche nel mondo cattolico. Ricordo che proprio dalla Milano da bere, con un’inchiesta del settimanale ciellino “Il sabato”, si accese nel 1988 una zuffa furibonda sulla figura di Giuseppe Lazzati, il rettore dell’Università Cattolica morto due anni prima: fu accusato di “neoprotestantesimo” (come se “protestante” fosse un insulto o una colpa) e di rappresentare l’espressione massima di catto-comunista che aprì con chissà quali logiche di complotto a marxisti e massoni nella nostra cultura. Dovette intervenire il cardinale Martini. Tra i quarantenni rampanti di Cl che alzavano il dito spiccava un tal Roberto Formigoni… Poi è andata come sappiamo. Curiose analogie con lo stile degli attuali rottweiler della dottrina, pronti a impallinare Francesco in qualsiasi circostanza (“non ha parlato di Dio”, “distruggerà la Chiesa”, “apre agli anglicani”, “strizza l’occhio ai divorziati”, “non condanna gli omosessuali”…).

Sarà un caso o in giro c’è una grande e preoccupante sete in tutti noi?