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Fabrizio De André, noi e il repertorio giuridico

9 Febbraio 2025

Fabrizio De André, noi e il repertorio giuridico.

Il grande Faber avrebbe compiuto 85 anni il 18 febbraio 2025 se la malattia non se lo fosse portato via troppo presto, l’11 gennaio 1999. Tutti, almeno quelli della mia generazione di boomer (ma non solo), gli siamo debitori di qualcosa: una sensazione, un ricordo, una malinconia, un guizzo di pensiero nato dall’ascolto delle sue poesie sul pentagramma, sentimenti forti provati suonando la chitarra attorno al fuoco. Insomma, Faber è un po’ come una traccia carsica nella nostra formazione. Della mia senz’altro.

Fabrizio De André, noi e il repertorio giuridico

Si sa meno del retroterra giuridico del cantautore. Ma esiste ed è un filo molto interessante da approfondire. De André, d’altronde, aveva frequentato la Facoltà di Giurisprudenza, lasciata a sei esami dalla fine. Nei suoi testi affiorano indizi importanti dei temi legati al diritto e alla giustizia. Complice, anche, l’esperienza del fratello Mauro De André, noto avvocato genovese al quale adesso è intitolata la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Genova.

Ad aver intuito questo percorso è l’avvocato genovese Stefano Betti, noto professionista, appassionato e rigoroso giurista, quanto entusiasta animatore di iniziative. Ci eravamo conosciuti molti anni fa, quando ero responsabile dell’edizione NordOvest del Sole-24 Ore. Avevo sostenuto l’idea, che nel 2009 portò a una prima serata pubblica di approfondimento. Musica e annotazioni sul giudice, il consorzio agroalimentare di “Bocca di Rosa”, i gendarmi con i pennacchi e altro ancora. Poi, il tempo è volato. Ma la suggestione è stata raccolta anche in altre parti d’Italia, come a Bologna, dove hanno invitato Betti a parlarne.

Fabrizio De André, noi e il repertorio giuridico

L’idea è rimasta sotto la cenere. Fino a quando, al Teatro Sociale di Camogli (Ge), è andata in scena la sera dell’8 febbraio 2025 una performance riconosciuta anche per i crediti della formazione permanente degli avvocati. Betti ha introdotto una quindicina di canzoni che ha commentato insieme al collega penalista Stefano Savi, da poco presidente dell’Ordine degli avvocati della Lanterna. Magistratura, dignità dei carcerati, prostituzione, femminicidi: sono molte le suggestioni che De André ha pennellato con “Don Raffaé”, “Il giudice”, “Via del campo”, “La ballata del Michè”, “La canzone di Marinella”.

A cantare, affiancato in un paio di casi dalla collega Rosanna De Rosa, presidente del Comitato Pari Opportunità dell’Ordine genovese, è stato l’avvocato Antonino “Ninè” Ingiulla,

Un personaggio, Ninè, che non conoscevo bene. Siciliano di origine, bresciano di adozione, 40 anni, si definisce su Instagram “avvocato per pensione, artista per professione”. Ha il dono di una voce straordinaria, quasi un clone di quella di De André, che ha saputo coltivare con intelligenza, intrecciando cultura classica ed estro. Nel 2007 aveva scritto il suo primo spettacolo su Dante e De André; poi ha iniziato un fecondo sodalizio con il maestro di violino Danilo Artale, eclettico polistrumentista ormai quasi sempre al suo fianco. Sul palco, a Camogli, c’era anche la bravissima flautista Francesca Rapetti.

Sul palco del Teatro Sociale di Camogli (da sinistra a destra): Danilo Artale, Niné Ingiulla, Rosanna De Rosa, Francesca Rapetti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ingiulla mette il cuore e l’anima nell’interpretazione di Faber. Confida che Dori Ghezzi, ascoltandolo, non trattenga le lacrime. Ed è intuibile. Sono contento di avere potuto vivere questa serata.

L’originalissima performance di Camogli è qualcosa di più che una “goliardata”.  Il merito di Stefano Betti (aiutato dalla deliziosa moglie Paola, musa ispiratrice) è di aver costruito, nella contaminazione di saperi ed arte, una splendida occasione di educazione civica. In cui si tocca con mano che la Costituzione e il diritto, se interpretati con passione, sono tutt’altro che aridi, ma buona terra di cittadinanza. I miei amici genovesi dovrebbero seriamente pensare a una serie podcast da diffondere nelle scuole e nelle università.

Perché, sì, oggi abbiamo un maledetto bisogno di educazione civica.