Mentre il Pd dorme, la rivoluzione non russa
14 Agosto 2018
Mentre il Pd dorme, la rivoluzione non russa. Non me vogliano Valentino Parlato, buonanima, e i bravi colleghi del Manifesto. Ma uso il titolo perché in questi giorni agostani mi monta il risentimento per l’insipienza politica del litigioso manipolo di parlamentari asserragliato al Nazareno (Roma, Italia). Le incespicanti creature si accaniscono vibranti attorno alle ipocrisie (verissime, sia chiaro) di Salvini e Di Maio, si scagliano indignate contro fascismo di ritorno, intolleranza e xenofobia, ma si dimenticano di essere opposizione. E si fanno fregare con il mille-proroghe sui bandi periferie. Soprattutto, nella canicola estiva, non si accorgono di un post insidioso postato sul blog di Beppe Grillo e firmato dal bulgaro Ivan Krastev.
Il Pd dorme, la rivoluzione non russa
Perché mi ha colpito il post di Krastev? Il titolo “Non esiste democrazia senza fiducia”, sembra ispirare bene. Scritto apposta? Il testo è sostanzialmente la trascrizione di uno speech video per la community Ted nel 2012. Krastev, cinquantenne, puntuto studioso dell’Est europeo, è presidente del Centro strategie liberali di Sofia. Il suo intervento è stato buttato lì con non chalance il 12 agosto, verso le 21: «Negli ultimi 30 anni, gli studiosi di politica hanno osservato un declino costante dell’affluenza alle urne, e hanno visto che le persone meno interessate a votare sono quelle che hanno più da guadagnare dal voto…». Il Pd dorme, la rivoluzione non russa. Krastev afferma: «Se veramente non siamo pronti a cambiare le cose, a fare una rivoluzione, a rischiare di commettere degli errori, allora non cambierà mai nulla».
Intellettuale interessante, creativo e acculturato, cita Saramago e fa il piacione: «Nel mondo esistono i felici, gli infelici e i Bulgari…». Parla delle cinque rivoluzioni di questi ultimi quarant’anni, il bene e il male dal Sessantotto alle neuroscienze. Sostiene, certo, che l’unica opzione è la democrazia. Però, a un certo punto, insinua: «Ora abbiamo la tendenza opposta. La diffusione della democrazia va di pari passo con l’aumento delle disuguaglianze. E lo trovo un dato molto preoccupante, quando parliamo di cosa è andato bene e di cosa è andato male nella democrazia moderna». Bisogna sapere che Krastev, brillante politologo e autore di “After Europe” (University of Pennsylvania Press, 2017), viene ascoltato dall’Aspen Institute, dice che i sovranisti europei non potranno mai mettersi d’accordo e, soprattutto, che non ci può essere rivoluzione senza ideologia e che i populisti la buttano in caciara sui migranti perché così nascondono le diseguaglianze economiche.
La sfiducia e le aristocrazie da combattere
Detto questo, il suo discorso abilmente messo in rete, aiuta a scardinare anziché a riflettere. Perché in un passaggio, attenzione, argomenta: «Se il problema è la fiducia, così ammettiamo che la trasparenza è la gestione politica della sfiducia. Diamo per scontato che le nostre società saranno basate sulla sfiducia. E in effetti, la sfiducia è sempre stata molto importante per la democrazia. Ecco perché ci sono controlli e bilanci. Tutti noi ci sentiamo perseguitati dalle istituzioni, ci tracciano, controllano ogni mossa, e pretendono troppo. Perché? Perché la situazione economica è pessima. Ma chi l’ha prodotta? – si domanda Krastev – Il popolo risponde che è stata la politica, ed è allora che nota che i sacrifici vengono fatti solo dal popolo e mai dalla nuova aristocrazia».
Ecco: l’avversione contro le aristocrazie, contro “chi sta dietro”. I poteri forti, sia chiaro, esistono, la massoneria è bella solida, le lobby sanno muoversi. Ma un conto è la disamina politologica, un conto è la benzina sul fuoco dell’ignoranza: perché in questo modo, coloro che sono legittimamente esasperati – e dunque più facilmente manipolabili – continueranno a urlare contro i vaccini e a chi li “marchia” come animali. Come sarà l’escalation? Già in tempi non sospetti Beppe Grillo argomentava che una dittatura è forse meglio di una finta democrazia. Il che è ambiguo e pericoloso, nonché molto eccitante per il priapismo politico del vicepremier padano.
Meglio non svegliarsi troppo tardi
E dunque: perché la disattenzione sul bando periferie è grave? Ne hanno scritto in tanti e adesso vedremo come andrà a finire (in Italia non si sa mai). Ma la gravità sta perché in quei soldi congelati vi erano anche molti progetti legati a quella che oggi si chiama “economia civile”. I grandi problemi che affliggono la nostra società si potranno risolvere soltanto attraverso l’esercizio diffuso della corresponsabilità tra società civile, imprese e Pubblica amministrazione, con progetti co-gestiti in grado di intervenire nei territori. L’economia, da sola, il welfare, da solo, la società civile, da sola, non sono più in grado di contrastare l’aumento delle diseguaglianze economiche e sociali, la perdita di senso delle relazioni interpersonali, il degrado ambientale, la crescita della esclusione. Non riescono, senza stringere un’alleanza, a impegnarsi per la riduzione della povertà.
La società civile è l’insieme di “corpi intermedi organizzati” (e cioè associazioni di cittadini, enti di terzo settore, associazioni professionali, autonomie funzionali, organizzazioni non governative, fondazioni). Ed è il luogo dove si possono creare i presupposti per il corretto funzionamento sia dei mercati sia dello Stato. A patto che quest’ultimo bene interpreti il principio di sussidiarietà: l’organo superiore non deve semplicemente delegare quote di sovranità all’organo inferiore – perché sennò sarebbe decentramento politico-amministrativo – ma deve riconoscere e favorire quanto l’organo inferiore è in grado di realizzare da sé, garantendo le regole di esercizio di questa autorganizzazione.