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La «sindrome della rana» che affligge Torino

27 Maggio 2018

Sotto la Mole dilaga la «sindrome della rana». Il piccolo mondo antico subalpino si sta lessando senza accorgersene. Un esempio su tutti? Come andrà a finire la vicenda della Torino-Lione? Pagheremo oltre due miliardi di danni se il governo giallo-verde (ammesso che nasca) dello “skillatissimo” professor Conte bloccherà la costruzione dell’opera? Non lo sappiamo ancora. E non possiamo prevedere alcuni scenari futuri, troppo complessi e popolati da mille variabili. Il traffico commerciale, che è il nodo della questione, aumenterà o diminuirà? Nel 2030, quando dovrebbe entrare in funzione il tunnel di base, sarà più conveniente il trasporto su ferro piuttosto che quello su gomma?

Il Nord-Ovest e la «sindrome della rana»

Un progetto di tracciato da disegnare oggi dovrebbe collegare ad alta velocità i grandi aeroporti con Milano e Lione: Malpensa, dunque, e poi Caselle e, da lì, via verso la Francia con tappa a Susa. Perché – tra l’altro – i tratti più costosi da costruire sono proprio quelli della cosiddetta “penetrazione cittadina”. Nei Paesi moderni gli scali sono già uniti con il centro città dalla rete metropolitana. Eppure – a questo punto della storia, nonostante tutto – bisogna andare avanti con la nuova linea ferroviaria: per Torino, soprattutto, e per l’intero Nord-Ovest, al di là delle penali paventate.

Responsabilità e miopie

La verità è che sull’annosa vicenda infrastrutturale ci sono responsabilità e miopie che si sono incrociate pericolosamente, con un micidiale combinato disposto, tutto italiano. E con effetti che rischiano di emarginare in maniera definitiva i territori. Lo scenario peggiore è “Torinate”, un dormitorio fighetto per le mogli dei top manager milanesi e per i sempre più numerosi condannati al pendolarismo con la Madonnina. Le Ferrovie – lo diciamo una buona volta? – hanno sempre soffiato sul fuoco della protesta anti Tav: perché all’aziendona di Stato non è mai interessato un bel niente della direttrice est-ovest lungo la pianura padana. Negli anni decisivi delle scelte, a Roma, i vari Moretti (ricordate la creatura?) avevano in testa Gottardo, Lötschberg e Brennero. In questa chiave, alla fine, ha avuto più sostegno il “terzo valico” per la Genova-Rotterdam (che s’ha da fare assolutamente). C’entra la «sindrome della rana»? C’entra eccome. Tutti zitti a farsi lessare…

Il furore biblico e ideologico

I no Tav, poi, in preda a furore biblico (citofonare Erri De Luca) e ideologico (vedi i vari assalti tutt’altro che non violenti da parte di centri sociali e black bloc assortiti), hanno perso l’occasione di chiedere ad alta voce linee di metropolitana tipo la Rer di Parigi per collegare con alta frequenza Susa, Avigliana, Canavese, Pinerolese e Caselle.  Questo sarebbe stato importante come “compensazione”. La miopia vale anche per i comitati più seri dei valsusini e dei loro sindaci, mal disposti fin dall’inizio per l’atteggiamento dell’allora governo Berlusconi, miscela maldestra che portò agli scontri di Venaus nel 2005 (dobbiamo imparare molto dai cugini transalpini).

No Tav in Valle di Susa

Se non si apre uno sbocco verso la Francia (e l’Europa) – con questa logica dei trasporti  – il Piemonte e il Nord-Ovest saranno condannati alla decadenza geografica, anche nella ormai improbabile ipotesi che si conquistino le Olimpiadi invernali 2026. Ci si sta lessando: è «piena sindrome della rana». Provate a chiedere al Politecnico di Torino e al nuovo rettore Guido Saracco che sta mettendo mano al Piano strategico dell’ateneo: la temibile piramide demografica rovesciata porterà il capoluogo piemontese e dintorni ad avere nell’arco di dieci anni quasi il 40% in meno della popolazione scolastica. Resteremo noi, baby boomer invecchiati, qualche nostro genitore centenario, le badanti, gli immigrati. E i giovani e le aziende da attrarre?

Non ci siamo con la testa

Troppo pessimismo? Certo, troppo pessimismo. Perché ci sono l’industria 4.0, i lab della Fondazione Agnelli, il know-how automobilistico, l’Innovation center di Intesa Sanpaolo, il turismo, l’enogastronomia, il Toro, la Juve e il Salone del libro con tanti visitatori… Il punto è che non ci siamo con la testa. I soldi per il Tav sono tanti, ma non impossibili. Ed è demagogia dire che bisogna dirottarli dove serve, se poi si butta il denaro con l’assistenzialistico reddito di cittadinanza. Non ci siamo con la testa perché non si possono organizzare piccoli cenacoli autoreferenziali sul futuro, senza una regia di ampia portata che abbia poi un “peso” nelle sedi che contano.

Due economisti visionari di Oxford, Ian Goldin e Chris Cutarna, sostengono che può innescarsi un secondo Rinascimento economico e culturale («Nuova età dell’oro», il Saggiatore, 2018). Dicono che dobbiamo «esaltare la fioritura del genio» e «mitigare la fioritura del rischio». Perché non iniziare in terra subalpina? Sotto la Mole convivono buone idee, anche nell’innovazione sociale, e i torinesi sono proverbiali sgobboni.

Ritorniamo ad «alta capacità», deponiamo con responsabilità civica le ideologie e costruiamo tavoli ampi, “politici” nel senso migliore: con imprenditori, sindacalisti, studenti, insegnanti, ricercatori, enti del terzo settore, rappresentanti delle religioni. Sveglia, Torino. Esci dai salotti e dalle gerontocrazie delle poltrone. La classe dirigente, se c’è, batta un colpo. Siamo davvero afflitti dalla «sindrome della rana» bollita: passiva, quasi pigra, nel pentolone che inizia a scaldarsi e lentamente si lessa senza accorgersene (mai letto, sindaca Appendino, Noam Chomsky?). In fondo è come un ritorno all’epoca di Cavour, non solo per il traforo del Fréjus. La questione è sempre la stessa: fare l’Italia e pure gli italiani.