E se una nostra figlia sposasse uno straniero?
8 Marzo 2015
Sono andato al cinema, rara concessione al tempo libero. Ho visto «Non sposate le mie figlie!», pellicola francese del 2014 di Philippe de Chauveron, approdata da poco più di un mese nelle nostre sale. Titolo originale: Qu’est qu’on a fait au Bon Dieu? «Che abbiamo fatto di male al buon Dio?» Già, perché in questa commedia se lo chiedono con insistenza i coniugi Claude e Marie Verneuil, coppia borghese, benestante, cattolica, benpensante e gollista che vive in provincia. Genitori di quattro figlie – tre delle quali, nella grande Parigi – già mogli di un ebreo, un arabo e un cinese, pregano di poter avere come quarto genero almeno un cristiano. Uno su quattro.
Accadrà, naturalmente. Charles è cattolico, ma fa l’attore, è della Costa d’Avorio ed è nerissimo. E ha un padre decisamente razzista. Dunque gag a raffica, qualcuna davvero gustosa, qualcun’altra meno; e lieto fine, va da sè. Insomma non un cast stellare, come l’«Indovina chi viene a cena?» di Stanley Kramer con Spencer Tracy, Sidney Poitier e Katharine Hepburn (correva l’anno 1967), ma è un’ora e mezza indovinata e che fila volentieri.
Il film è campione d’incassi in Francia e in Italia non si comporta male al botteghino. Interessante che arrivi dalla Francia reduce dalla tragedia di Charlie Hebdo: trovi battute garbate e non offensive per avviare una discussione sulla convivenza interreligiosa e multietnica di tutti i giorni. Con buona pace di molti, dovremo farci l’abitudine e inserire la variabile nel “quoziente familiare” dei prossimi anni. «Non sposate le mie figlie!» (il tema può valere benissimo per un figlio maschio) è un feel-good movie, certo un po’ semplicistico. Ma fa sorridere ed è un buon punto di partenza per cominciare. Perché, se già non è successo, potrebbe accadere presto in una qualunque delle nostre case. Dunque, prepariamoci, senza imbracciare il fucile. Meglio ironia e autoironia, sempre buoni ingredienti per non prendersi troppo sul serio.