Il senso civico dei «condomini solidali»
16 Aprile 2016
Certo, come cantava Giorgio Gaber, «la famiglia tanto amata è una morbida coperta che ti lascia una ferita che rimane sempre aperta». Questione di relazioni difficili da sempre tra le mura di casa, ma oggi in subbuglio per come è la società e per i tempi che viviamo: ne parlano con una competenza che ammiro (e talvolta mi spaventa) Zygmunt Bauman – il sociologo della società e dell’amore liquidi – e Massimo Recalcati, psicoanalista acuto e profondo, autore de “Il complesso di Telemaco” e “Patria senza padri” (qui in una sua recente e splendida intervista a Soul di Monica Mondo su Tv2000).
Nel nostro Belpaese, spesso egoista e spietato, litigioso e poco abituato alla democrazia, esistono però esperienze in controtendenza: straordinarie e poco conosciute, un po’ ovunque lungo lo Stivale. Sono i «condomini solidali», luoghi trasformati in cui anziani, famiglie, giovani, mettono insieme ciò che sono, quello che hanno, progettano, intessono relazioni, affrontano le difficoltà economica. Provate a mettere in un motore di ricerca “condominio solidale” e guardate quante straordinarie finestre si aprono: storie di vita, ma soprattutto vie di uscita “dal basso” per ricostruire – anche dopo il lungo tunnel della crisi – il nostro modo di vivere con uno stile diverso (altro che le assemblee di condominio dove ci sbrana cocciutamente per delle idiozie).
Una buona strada per diventare adulti in una Italia di bambini non cresciuti, fragili, capricciosi e ideologici, molto spesso proprio in famiglia. Un buon esempio di educazione civica, il “condominio solidale”, non solo per quanti vivono nella marginalità, ma anche per la cosiddetta classe dirigente (la quale cercasi disperatamente).