Il tempo che non abbiamo per i nostri vecchi
4 Febbraio 2018
Annegano in un niente gli anziani, i nostri vecchi. Un canale della televisione che non si sintonizza più, un contrattempo idiota, un acciacco, una bolletta poco chiara. Fanno tenerezza. Chiedono attenzione, come i bambini. Sono autocentrati, forse anche egoisti, insistenti, noiosi. Il loro problema è “il” problema: non capiscono, devi ripetere, con pazienza, enorme pazienza. E rassicurarli. E agire subito. Hanno sempre più anni sulle spalle, l’aspettativa di vita si allunga. È una riflessione da domenica sera, dopo una visita a mio papà, classe 1928. Con le sue malinconie (è vedovo da tre anni), le sue sicurezze, le sue fragilità.
La piramide rovesciata
Così penso a coloro che non vogliono invecchiare, a quanti non lasciano spazio alle nuove generazioni. Alla gerontocrazia. E allo stupore di questi uomini e donne che hanno sopportato la guerra, i genitori morti troppo presto, il boom economico, i sacrifici da formichine, gli investimenti sicuri nei Bot, il posto fisso, la diffidenza nei confronti dei sessantottini, l’insofferenza per chi – come me – portava i capelli lunghi all’epoca del rapimento Moro. E adesso, a novanta primavere, che non si raccapezzano più, che desiderano concludere al meglio l’esistenza terrena, che ti telefonano per dirti chi è morto, con gli amici che vanno giù come birilli e il Tg che li bombarda con notizie di cronaca che non vogliono sentire, atterriti da quel matto di Trump. La demografia parla di piramide rovesciata. Forse è il rovescio della natura, ma non ne siamo consapevoli.
Cocoon
Mi torna alla mente «Cocoon», il film di Ron Howard del 1985, tratto dal romanzo di David Saperstein. Penso al «Tempo imperfetto» di Francesco Piccolo (Feltrinelli, 2000), con il tempo strabaltato, i vecchi a scuola e i giovani in pensione; riaffiorano le emozioni per «Le intermittenze della morte» di José Saramago (Feltrinelli, 2005), rasoiata sul timore della vecchiaia e sul tentativo di rinviare la fine che comunque arriverà. Comunque la si veda è la paura del distacco, è la consapevolezza che prima o poi saremo noi in prima fila. E toccherà a noi.
Intanto rimbomba la campagna elettorale. Parlano di pensioni, di caregiver, di assistenza, professoroni e furbi dell’ultima ora. In realtà io vorrei avere più tempo per stare con i vecchi. Anche per questo nutro risentimento contro un certo modo di lavorare che non sopporto più, perché sgozza le relazioni e annulla la memoria.