L’industria agroalimentare (ma non solo) e l’economia della ciambella
5 Aprile 2018
Doughnut Economics. Parola di Kate Raworth. Alle riflessioni di questa interessante economista di Oxford mi ha appassionato una chiacchierata con Carlin Petrini, fondatore e presidente di Slow Food International, a un recente incontro sull’industria agroalimentare. Tant’è che ho poi comprato il suo libro, appunto «L’economia della ciambella. Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo» (Edizioni Ambiente, pagine 304, euro 22). Che si debba cambiare paradigma di crescita, sul nostro pianeta, è ormai indubbio: lo sviluppo sostenibile non potrà che emergere da un incrocio intelligente tra l’economia, la società e l’ambiente. Ma come?
Sette mosse per il futuro e l’economia della ciambella
La Raworth indica sette step da seguire. Vediamoli: cambiare l’obiettivo dalla crescita del Pil al rispetto dei diritti degli uomini e del pianeta; inserire l’economia nel contesto più ampio della vita naturale; coltivare la natura umana e le sue ricchezze sociali, che la fanno molto più ampia del modello razionale di homo economicus che ha dominato il Novecento; comprendere la complessità dei sistemi, ben più interconnessi e articolati di quando, decenni addietro, furono tracciate le curve del mercato e della domanda; «progettare per redistribuire», superando la teoria per cui la disuguaglianza sarebbe stata curata dalla crescita; «creare per rigenerare», poiché nemmeno il degrado ecologico si è rivelato curabile con la crescita; essere «agnostici» sulla crescita, che non può essere infinita, mentre infinita dovrebbe essere la prosperità umana. Utopia bella e buona?
Secondo la studiosa, la ciambella delimita l’area in cui l’attività umana deve e può svilupparsi. Sopra un livello minimo (definito da 12 priorità sociali – derivate dalle priorità specificate nei Sustainable Development Goals dell’Onu del 2015 – tra cui cibo, salute, istruzione, igiene, energia, equità) che rendono la vita umana tollerabile e sostenibile. Sotto, i confini della nostra madre terra (climate change, inquinamento chimico, uso di acqua e territorio, perdita di biodiversità e altre cose simili) che stiamo sfidando all’eccesso, con il rischio reale di superare qualche punto di non ritorno. Quella fascia «sicura per l’ambiente e socialmente giusta per l’umanità» ha forma di ciambella. Kate Raworth è molto determinata: «Comunque affrontiamo queste sfide intrecciate – spiega – una cosa è chiara: la teoria economica avrà un ruolo centrale. L’economia è la lingua delle politiche pubbliche, il linguaggio della vita pubblica e la cornice mentale che modella la società».
Una metafora verosimile?
Cerchi concentrici, dunque, e una idea precisa: «Al di sotto del cerchio interno – incalza la Raworth -, la base sociale, si trovano privazioni critiche per l’umanità, come la fame e l’analfabetismo. Oltre il cerchio esterno – il tetto ecologico – si trova il degrado ambientale, per esempio i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità. Tra i due cerchi si trova la ciambella, lo spazio entro il quale possiamo soddisfare i bisogni di tutti rispettando i limiti del pianeta».
Come entrarci? «L’economia della ciambella – risponde – attinge a diverse scuole di pensiero, come quella ecologica, femminista, istituzionale, all’economia comportamentale e a quella della complessità. Sono tutte ricche di intuizioni, ma c’è comunque il rischio che rimangano separate in comportamenti stagni, ogni scuola di pensiero chiusa nei suoi giornali, conferenze, libri di testo e cattedre, coltivando la propria critica di nicchia al pensiero del secolo passato. La vera rivoluzione consiste, naturalmente, nel combinare quello che ognuna ha da offrire e nello scoprire che cosa succede quando interagiscono nella stessa pagina…».
Un bel minestrone? Troppo ottimismo? Forse. Però lo spunto interessante del volume – e della teoria – è che ordina una agenda per decisori pubblici e privati. E, soprattuto, che graffia intellettuali e accademici: «Molte delle intuizioni più emozionanti che trainano il nuovo pensiero economico emergono dappertutto tranne che dai dipartimenti di economia – ragiona Kate Raworth -. Ci sono naturalmente alcune eccezioni, ma sono troppo rare. Moltissime idee trasformative stanno arrivando da altri campi del pensiero come psicologia, ecologia, fisica, storia, scienze della Terra, geografia, architettura e scienze della complessità. La teoria economica dovrebbe accogliere queste suggestioni. Nella danza degli intelletti è ora che l’economia faccia un passo indietro, smetta di fare la solista e si unisca al corpo di ballo».
L’idea di Petrini
A Carlin Petrini la Kate Raworth piace molto. E farà di tutto, se già non ci è riuscito, per portarla nell’orbita di Slow Food. Perché vede bene questi ragionamenti non solo per l’industria agroalimentare, va da sé, ma per l’intero sistema economico. Quasi di più delle teorie del suo vecchio amico Serge Latouche, inchiodato agli imperativi (sovente ideologici) della “decrescita felice”. E questa, probabilmente, è una strada che apprezza di più anche Papa Francesco, in contatto con il fondatore di Slow Food impegnato in queste settimane a lanciare proprio dall’Albese le comunità internazionali Laudato si’ ispirate alla “ecoenciclica” del 2015.
Cliccando qui accedete alla home page di Doughnut Economics. Sotto, invece, potete trovare il video di un interessante speech al TEDx di Atene di Kate Raworth in cui spiega perché è giunto il tempo dell’economia della ciambella: