«Cari benpensanti, adesso vi spiego perché a Disabilandia si tromba»
12 Aprile 2018
di Marina Cuollo
Avvertenza: sto per scrivere un pezzo sulla fenomenologia del benpensante, ma devo fare due premesse. La prima: ho scritto un libro e l’ho intitolato A Disabilandia si tromba. La seconda: sul gradino più alto del podio per la gara “insopportabili” ci metto il benpensante (o il conservatore o il conformista). Qual è il nesso tra queste due premesse? Il “tromba”. Sì, perché nel bel pensante paese, i disabili non trombano. Io “trombare” ho scelto di usarlo. L’ho fatto perché mi piaceva l’idea di confondere le persone, ma solo per togliere loro il pilota automatico, costringendo i neuroni a confezionare comportamenti nuovi, che vadano oltre le etichette sociali.
A Disabilandia si tromba: scritto per creare scompiglio
Sapevo fin dall’inizio che un libro del genere avrebbe creato scompiglio. Ma il mio scopo, quello che mi ha portato a scrivere Disabilandia, era rompere il muro del pregiudizio, scardinare proprio quelle etichette sociali che il mondo appiccica e che a volte ci appiccichiamo pure da soli. Era un atto dovuto, anche per me, che vivo la mia disabilità senza piagnistei, e per i benpensanti, che vivono la disabilità con una visione stereotipata e limitata, convinti che la vita di un disabile sia un vero schifo. Ora, caro lettore, probabilmente ti starai chiedendo: «E quindi? Qual è il problema?». Ti rispondo che il problema è sempre nelle relazioni. Una relazione, una qualsiasi relazione sociale si deve basare sul rispetto reciproco.
Cosa vuol dire? Quando il benpensante parla con un handicappato (che non chiama mai così, ci mancherebbe!), usa la stessa vocina che riserva per il nipote di quattro anni e si permette pure contatti non richiesti seguiti da frasette tra l’adorante e il super-pietoso, una su tutte: «Tu sei speciale». Qui di rispetto io non ne vedo proprio.
Vi spiego come sono io
Ho 36 anni, sono disabile e NON sono speciale. Sono normale. Circa. Come sono normali, con tanto di “circa”, molti altri, appellabili o non appellabili “handicappati”. Insomma, il problema non è nella diversità delle opinioni, ognuno è libero di decidere per se stesso. Il problema nasce nel momento in cui la tua opinione è frutto di una omologazione sociale imposta dal “politicamente corretto” e da tanta ignoranza.
Quindi sono cresciuta valutando le azioni e condannando l’apparenza. Sono una persona pratica, soprattutto con le parole: non le mando a dire, ma ci metto sempre la faccia, evitando mille giri di parole per dire quello che si può comunicare con la sintesi. A questo punto, capisci bene, caro lettore, che non potevo farmi sfuggire l’occasione di pungolare la parte avversa, quella che invece, dell’apparenza ne ha fatta una virtù. Ecco perché ho scelto un titolo diretto e parecchio provocatorio: «A Disabilandia si tromba», appunto.
Il più delle volte quando si trovano davanti un titolo del genere, le persone non sanno come reagire, non sanno come comportarsi. Esattamente come succede spesso di fronte a un handicappato.
Ti è chiaro il nesso?
Per questo «A Disabilandia si tromba» è un titolo che adoro. È rivelatorio, il solo pronunciarlo in pubblico dice più sulla propria personalità che millemila Like su Facebook. Con quelli si può mentire; con le emozioni no. Sono le emozioni forti che ci spingono a riflettere. E se alle emozioni forti associamo una risata, allora, signore e signori, per le sinapsi inizia la festa.
Quando vado in giro per l’Italia per presentare Disabilandia, mi trovo davanti persone che capiscono, dopo aver letto il mio libro, quanto le etichette sociali siano dei muri nelle relazioni sociali. Una schiera di “folgorati sulla via di Damasco”. Quindi, invece di fare i benpensanti SENZA esserlo, iniziamo a pensare BENE con le nostre teste.
Invece di salvare le apparenze, proviamo a dar loro fuoco. Magari scopriamo che, a stare dall’altra parte, si sta tutti meglio.
Spesso mi sono chiesto se il «benpensante» è anche uno che pensa. In realtà non pensa affatto, anche perché, a forza di pensarla come la pensano gli altri, gli si è atrofizzato il cervello. (Luciano De Crescenzo)
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