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Comunicazione, speranza e riserva mentale di una Chiesa che deve morire

26 Gennaio 2025

La comunicazione, la speranza e la riserva mentale di una Chiesa che deve morire. È una buona suggestione, quella di Papa Francesco, di coinvolgere tutto il mondo dell’informazione in un patto per la speranza. Ho seguito con interesse, ieri, il Giubileo dei giornalisti. Contenuti alti, anche se Bergoglio non ha pronunciato il suo discorso, peraltro in linea con il Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali e assolutamente da leggere. Un concetto mi ha colpito: «Raccontate storie di speranza – annota Bergoglio -. Il vostro storytelling sia anche hopetelling. Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto. Seminate interrogativi».

La comunicazione, la speranza e la riserva mentale di una Chiesa che deve morire

Detto tutto questo, la Chiesa cammina con i piedi degli uomini, per cui – spesso – è ben peggio della fragile umanità di cui stigmatizza gli strafalcioni. Quel che penso è molto semplice: si predica bene e si razzola male. Molto spesso il linguaggio della comunicazione religiosa è troppo felpato, gergale, affettato. Soprattutto, non dice. Ed è falso come Giuda. È come ci fosse una colposa – talvolta dolosa – riserva mentale: vale per gli altri, non per noi. Basta vedere la gestione degli scandali sugli abusi psicologici e sessuali, della pedofilia e, più in generale, delle questioni che provocano mal di pancia e non s’intendono affrontare. Si sorvola, si nasconde sotto il tappeto, s’insabbia, si fa melina.

Accade ovunque, intendiamoci. Ma che succeda nella Chiesa – che spesso invita a guardare i germogli positivi e poi non ha il coraggio di tagliare la zizzania – per spirito di casta – fa male.

La Chiesa «che deve morire»

La paternità di questa locuzione non è mia, ma di un padre benedettino, MichaelDavide Semeraro. Io ho solo cambiato il verbo al titolo di un volume in cui chiede con garbo e decisione di lasciare alle spalle stereotipi, modi di fare, pratiche che hanno generato storture evidenti. Leggetelo, lo consiglio vivamente.

La comunicazione della Chiesa in mostra

Quello che chiede Papa Francesco sulla comunicazione di speranza non significa addolcire la pillola o, peggio, bandire l’indignazione e la capacità d’inchiesta dal Dna dell’informazione. Significa dare una prospettiva ancora più ampia. Ho avuto modo di ragionarci insieme al collega Gerolamo Fazzini preparando i testi della mostra Comunicare la speranza. Un’altra informazione è possibile inaugurata ieri in Vaticano e che adesso inizierà un tour in tutta Italia.

 

Ventiquattro pannelli con dati, storie, notizie, spunti, testimoni noti e meno noti di reporter della speranza(da Walter Tobagi a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, da Maria Ressa ad André Sibomana). Ecco: l’impegno per una comunicazione di speranza è una passione che supera i confini tra credenti e non credenti. È passione civica per la verità, per la difesa convinta della democrazia; è un giornalismo in piedi, onesto, imparziale, capace di accompagnare al futuro perché in grado di distinguere con autorevolezza i fatti dai commenti.

Vorrei davvero che la Chiesa fosse in prima linea su questo fronte. Senza riserve mentali.